mercoledì 15 aprile 2015

       
Il 15 aprile 1967 moriva Totò. La notizia mi fu data per telefono da un suo familiare verso le 10. Nel pomeriggio, alle 15, dovevo vedermi con lui per il sesto incontro. Lo stavo infatti intervistando per scrivere la sua biografia. “Ma come le è venuto in mente? , mi aveva chiesto ridendo la prima volta. Ne era però compiaciuto.
Nelle prime cinque sedute aveva raccontato la sua infanzia e adolescenza, fino ai suoi 18 anni. Mi aveva chiesto, con grande garbo: “Quante volte mi vuole incontrare?” “Tutte le volte che vorrà lei, è importante che io abbia da lei tutte le notizie necessarie”. “Lei è troppo esigente e curioso”, mi apostrofò con amabilità. Dovevo scrivere il libro per la Rizzoli e quello era il momento in cui la cultura di sinistra aveva “scoperto” la grandezza del popolare Totò grazie al film “Uccellacci e uccellini” di Pasolini girato l'anno prima.
In una pausa delle nostre chiacchierate – ciascuna della durata massima di due ore, come concordato, - e durante la quale mi offriva un caffè 'alla napoletana' – gli chiesi cosa pensasse di Pasolini. E lui sorseggiando: “Lo sa una cosa, quando parlava io non lo capivo... Quel suo modo di spiegare le scene, boh... Controllava ogni mio gesto ma io ero abituato ad improvvisare, e allora non sapevo come muovermi... Ma questo non lo scriva”, e giù una risata derisoria.
Gli era piaciuta la mia intervista fattagli mesi prima per la prestigiosa rivista parigina di cinema "Positiv". Durante i nostri incontri nella sua sobria casa ai Parioli, era stato sempre estremamente gentile nei modi e misurato nelle parole. Non alzava mai la voce e quando esprimeva qualche giudizio non positivo su qualche collega di lavoro copriva con le mani il microfono (io registravo) e sussurrava la maldicenza con aria divertita.
I nastri di quegli incontri li ho poi ceduto alla RAI, che mandò in onda alcune parti nella trasmissione radiofonica “3131” condotta da Maurizio Costanzo.
Un'ultima cosa: durante gli incontri io lo chiamavo 'principe'. E lui: “Come debbo chiamarla? Lei è così giovane, sembra mio figlio... Dottore?” “No, mi chiami Angelo, se vuole”. Usò sempre un “signor Angelo” con quella sua voce in semitono. Mi è rimasta viva nell'orecchio.

Nessun commento: