domenica 28 marzo 2010

UN VOTO DI SOPRAVVIVENZA


Oggi si vota. Bisogna andare a votare. E’ un diritto che tutti conosciamo dal secondo dopoguerra in poi. Non si vota più in base al censo. Non si nega più il voto alle donne. Votiamo tutti perché tutti ne abbiamo diritto. . Fu un diritto negato dal fascismo. E’ un diritto conquistato col sangue e con la democrazia. O meglio, con la democrazia che ci è costata sangue. Perciò votare è un atto prezioso. Per la nostra libertà, perché c’è sempre qualcuno in agguato pronto ad insidiarcela. Per la nostra dignità, perché non sono in pochi a tentare di calpestarla. Bisogna votare, dunque, a prescindere da chi si vota.
Certo, si va a votare con la speranza, a volte segreta o palese o soltanto sospirata, di vedere governanti dotati di onestà politica e capaci di compiere iniziative finalizzate al bene della comunità. Basterebbero già queste due “semplici” cose per avere fiducia in loro. “L’integrità di quelli che governano costituisce la salvezza dei cittadini”, diceva Giovanni Paolo II.
Gli fanno eco i vescovi della nostra regione. E con amarezza. “Auspico che le istituzioni possano intrecciare un dialogo con la nostra comunità per ridare dignità ai giovani e alle famiglie” (Vescovo di Matera). “La classe politica del Mezzogiorno è “inadeguata” E’ il momento di pensare ad una politica trasparente fatta di uomini ineccepibili” (Vescovo di Acerenza). “Bisogna mettere da parte quella politica clientelare, liberandosi dai favoritismi che ostruiscono quei canali che potrebbero dare lavoro a tutti i giovani” (Vescovo di Tursi). “Perché non dare un aiuto alle famiglie con gli asili nido?...Non si può dipendere solo dalle industrie che investono in Basilicata. I giovani debbono capire che non serve a nulla stare dietro la porta del politico ad aspettare che la Regione elargisca qualcosa” (Vescovo di Melfi). “Concedere per favore ciò che spetta di diritto è diventata una prassi che bisogna debellare e che è la causa della fuga dei cervelli. La mancanza di lavoro sta portando la nostra regione su livelli di povertà che non si vedevano da decenni”. (Arcivescovo di Potenza).
Sono cose che sanno a memoria anche le pietre. Ci ritroviamo tra le mani una moneta: sul dritto scorgiamo le inadempienze che hanno generato il disagio sociale, il nostro scontento, la nostra rabbia repressa, la forzosa rassegnazione che è anche la nostra resa. Nel rovescio, c’è la mala pianta del clientelismo che frena ogni capacità individuale di iniziativa. Vediamo l’erba cattiva dell’assistenzialismo che mortifica la dignità della persona. C’è l’elmetto del conformismo amorale che blocca la possibilità di pensare al di fuori di schemi politici precostituiti.
A coniare questa moneta lucana è la politica: la quale “manca di formazione di una classe che si rivela cattivo esempio per i giovani che appaiono così più vecchi dei vecchi politici” (mons. Superbo).
Tutto quanto detto finora basta per non farci andare a votare? No.
Vogliamo ignorare quanto ci hanno detto i vescovi lucani e fare affidamento su quelle parole che abbiamo ascoltato nei molti comizi di questi giorni? Personalmente ho assistito a diciotto comizi elettorali per la Regione, di tutti i partiti in campo. Dio mio che resistenza che c’è voluta per… Per sentire decantare le cose fatte negli ultimi cinque anni. Ciò vale per quei candidati “uscenti”. E poi, silenzio. Per sentire muovere rimproveri agli uscenti colpevoli di non aver fatto quel che avrebbero dovuto fare. Questo è stato il refrain di quei candidati che aspirano ad “entrare” (pur se molti sanno di essere soltanto dei portatori d’ acqua). E poi, silenzio. Per sentire prima parlare relativamente male di tizio, caio e sempronio (con prudenza, perché non si mai che domani possano essere utili), e poi sfociare nel mare magnum della condotta di Berlusconi, dove tutto si amalgama e si confonde. E poi, silenzio.
Con quel “silenzio” voglio intendere di non aver sentito fare proposte di azioni concrete utili a ridare totale - ripeto totale - libertà di iniziativa a quanti hanno idee e voglia. A favorire le occasioni e il gusto del confronto utile a far uscire i nostri giovani dall’autoreferenzialità e dall’insicurezza sociale. A delineare prospettive tali da far rinascere dentro di noi la speranza di una vita migliore. Poche cose almeno! Macchè. Sono stati sciorinati “Patti con gli elettori”,sapendo che non potranno mai essere mantenuti. Sono stati tambureggiati “Programmi in 10 punti” che quando li leggevi ti veniva in mente la seconda parte del “Gloria Patri” (Dio mi perdoni): ogni punto enunciato appariva “com’ era in principio, ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen”.
Tutto questo dovrebbe convincerci a non andare a votare? No.
Dobbiamo votare perché è un nostro diritto. Perché è una espressione della nostra libertà. Ma per il nostro “caso lucano” dobbiamo dire, senza ipocrisie e forse con una punta di cinismo: di fronte a tale quadro – sconsolante – in cui non si scorgono prospettive chiare, a noi lucani non rimane che essere pratici: investire il nostro voto su colui che ci “aiuterà a massimizzare i vantaggi materiali e immediati della nostra famiglia e continuare a supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo” (Banfield). Un voto di sopravvivenza.

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