
Conosciamo i libri della nostra inquietudine: li hanno scritti Kafka, Camus, Joyce, Borges, Mann, Saramago, Chatwin, Bellow, Philip Roth. Sono soltanto alcuni di quei libri che hanno la capacità di creare turbamento e, forse, anche di segnare l’esistenza di chi li legge.
Rimangono a lungo nella valigia delle nostre cose più care. Gli altri, quelli che l’industria editoriale ci propina, ci propone e spesso impone li leggiamo con qualche curiosità, a volte soddisfatta, altre volte delusa. Tutti però hanno cittadinanza perché nati da un bisogno di espressione anche se, a volte, questa si confonde con la vanità. Il tempo poi li seleziona, li riformula in rapporto all’esigenza costantemente rimodellata dalla sensibilità umana. La quale non è statica ma, per nostra fortuna, dinamica e che per questo forma l’alfa e l’omega di ogni nostra riflessione, dà fuoco e tensione ad ogni nostra parola, urgenza ad ogni nostro problema. E quanto più un libro scandaglia le profondità del nostro essere cogliendone i bagliori ed illuminandone i lati bui e spesso oscuri; quanto più esso ha la capacità di discutere dell’uomo, di questo essere enigmatico che racchiude in sé la nostra esistenza per natura gioconda ma oltre natura misera e dolorosa, tanto più esso libro permarrà nella civiltà che lo ha generato.
Consapevole di ciò, l’UNESCO dal 1955 ha istituito la “Giornata del Libro e del Diritto d’Autore”. L’ ha fissata al 23 aprile di ogni anno, giorno della nascita di Shakespeare. Il motivo è di alto profilo: rendere omaggio ad uno degli strumenti civilizzatori, il libro. La frase non sembri retorica, ma il libro ha sicuramente contribuito e ancora contribuisce allo sviluppo creativo dell’umanità. E’ ancora capace di suscitare emozioni. Giustamente ho usato le espressioni “sviluppo creativo” e “suscitare emozioni” perché l’intelligenza umana si diverte a farsi gioco della sua stessa curiosità indagatrice, si compiace di suscitare illusioni e di prospettare punti di arrivo che nulla hanno a che fare con il raziocinio ma che pure tracciano simulacri di mondi sentimentali, dietro cui, appena raggiunti, si delineano nuovi profili dei quali emozionarsi.
Pensiamo alle forti emozioni che gli antichi cercavano nel libro. Praticavano la “apertio libri” consistente nell’aprire a caso un libro specifico e leggere la prima frase che capitava sotto gli occhi allo scopo di conoscere il futuro quando questo richiedeva una scelta difficile. (tecnicamente si chiamava “cledomanzia”). I libri erano particolari: i poemi di Omero, la Bibbia, il Corano, i Libri Sibyllini, l’Eneide. Per secoli hanno incarnato nelle varie culture l’immagine sia di libro sacro che di libro oracolare munito di poteri straordinari che permettevano di cogliere l’intenzione divina e il profilarsi dell’evento futuro. Questa pratica non è stata abbandonata, tanto da essere descritta in alcuni romanzi contemporanei tra i quali troviamo il “Libro segreto” di D’Annunzio, concepito dall’autore come strumento divinatorio in cui poter incontrare l’oracolo capace di rassicurarlo sul proprio destino emerso dal magma dell’interiorità.
Tolta la qualità oracolare, il valore del libro rimane ancora contrassegnato dalla parola e dal segno che in esso variamente si intrecciano e in cui la parola perde la sua brutale immediatezza a favore del segno che, nell’essere muto per sua stessa natura, non ha bisogno di parlare per essere “compreso”. Tacendo ci fa cadere sul dorso. Ci apre le porte alla scienza o alla formazione o all’emozione la quale si scioglierà più tardi, lentamente, nella verità della vita quotidiana piantata dinanzi a noi, inesorabile, cui è impossibile chiudere le porte.
In Basilicata però le porte vengono appena socchiuse al libro. Siccome le statistiche sono il barometro delle nostre abitudini culturali, scorrendole trovi questa regione al penultimo posto in Italia per la lettura del libri (succede altrettanto per quella dei giornali). Qui sono letti innanzitutto i romanzi (51,4% le donne, 42,6% uomini), e non i gialli, come si potrebbe credere (letti per 27,1%); pari a questi sono i libri di casa (27,2%), e, infine, i testi di scienze umane o sociali (23,7%). I libri scientifici sono pochissimi. Interessante è notare che mentre la lettura dei libri umoristici in Italia tocca il 24%, in Basilicata, invece, il…3,5%! “Noi siamo seri”, potrebbe dire qualcuno, stupidamente. E qui mi viene in mente una battuta (caustica) di Victor Hugo: “Sono i libri che un uomo legge, quelli che lo accusano maggiormente”. Dalla statistica mancano, è ovvio, i testi scolastici ed universitari. In ordine a questi ultimi, un mese fa ho fatto in aula una specie di “apertio libri”: ho chiesto agli studenti che hanno seguito il mio corso a Scienze della comunicazione (quindi Facoltà di Lettere): “Nel 2008 chi di voi ha letto un libro diverso da un testo universitario?” Sui circa duecento studenti hanno alzato la mano in…cinque! Si è poi levata la voce di una signorina che voleva essere giustificatoria: “Perché la Regione non favorisce la lettura fornendoci dei buoni per l’acquisto-libri?” Così conosciamo ulteriormente i giovani della nostra inquietudine.
19.04.09
Rimangono a lungo nella valigia delle nostre cose più care. Gli altri, quelli che l’industria editoriale ci propina, ci propone e spesso impone li leggiamo con qualche curiosità, a volte soddisfatta, altre volte delusa. Tutti però hanno cittadinanza perché nati da un bisogno di espressione anche se, a volte, questa si confonde con la vanità. Il tempo poi li seleziona, li riformula in rapporto all’esigenza costantemente rimodellata dalla sensibilità umana. La quale non è statica ma, per nostra fortuna, dinamica e che per questo forma l’alfa e l’omega di ogni nostra riflessione, dà fuoco e tensione ad ogni nostra parola, urgenza ad ogni nostro problema. E quanto più un libro scandaglia le profondità del nostro essere cogliendone i bagliori ed illuminandone i lati bui e spesso oscuri; quanto più esso ha la capacità di discutere dell’uomo, di questo essere enigmatico che racchiude in sé la nostra esistenza per natura gioconda ma oltre natura misera e dolorosa, tanto più esso libro permarrà nella civiltà che lo ha generato.
Consapevole di ciò, l’UNESCO dal 1955 ha istituito la “Giornata del Libro e del Diritto d’Autore”. L’ ha fissata al 23 aprile di ogni anno, giorno della nascita di Shakespeare. Il motivo è di alto profilo: rendere omaggio ad uno degli strumenti civilizzatori, il libro. La frase non sembri retorica, ma il libro ha sicuramente contribuito e ancora contribuisce allo sviluppo creativo dell’umanità. E’ ancora capace di suscitare emozioni. Giustamente ho usato le espressioni “sviluppo creativo” e “suscitare emozioni” perché l’intelligenza umana si diverte a farsi gioco della sua stessa curiosità indagatrice, si compiace di suscitare illusioni e di prospettare punti di arrivo che nulla hanno a che fare con il raziocinio ma che pure tracciano simulacri di mondi sentimentali, dietro cui, appena raggiunti, si delineano nuovi profili dei quali emozionarsi.
Pensiamo alle forti emozioni che gli antichi cercavano nel libro. Praticavano la “apertio libri” consistente nell’aprire a caso un libro specifico e leggere la prima frase che capitava sotto gli occhi allo scopo di conoscere il futuro quando questo richiedeva una scelta difficile. (tecnicamente si chiamava “cledomanzia”). I libri erano particolari: i poemi di Omero, la Bibbia, il Corano, i Libri Sibyllini, l’Eneide. Per secoli hanno incarnato nelle varie culture l’immagine sia di libro sacro che di libro oracolare munito di poteri straordinari che permettevano di cogliere l’intenzione divina e il profilarsi dell’evento futuro. Questa pratica non è stata abbandonata, tanto da essere descritta in alcuni romanzi contemporanei tra i quali troviamo il “Libro segreto” di D’Annunzio, concepito dall’autore come strumento divinatorio in cui poter incontrare l’oracolo capace di rassicurarlo sul proprio destino emerso dal magma dell’interiorità.
Tolta la qualità oracolare, il valore del libro rimane ancora contrassegnato dalla parola e dal segno che in esso variamente si intrecciano e in cui la parola perde la sua brutale immediatezza a favore del segno che, nell’essere muto per sua stessa natura, non ha bisogno di parlare per essere “compreso”. Tacendo ci fa cadere sul dorso. Ci apre le porte alla scienza o alla formazione o all’emozione la quale si scioglierà più tardi, lentamente, nella verità della vita quotidiana piantata dinanzi a noi, inesorabile, cui è impossibile chiudere le porte.
In Basilicata però le porte vengono appena socchiuse al libro. Siccome le statistiche sono il barometro delle nostre abitudini culturali, scorrendole trovi questa regione al penultimo posto in Italia per la lettura del libri (succede altrettanto per quella dei giornali). Qui sono letti innanzitutto i romanzi (51,4% le donne, 42,6% uomini), e non i gialli, come si potrebbe credere (letti per 27,1%); pari a questi sono i libri di casa (27,2%), e, infine, i testi di scienze umane o sociali (23,7%). I libri scientifici sono pochissimi. Interessante è notare che mentre la lettura dei libri umoristici in Italia tocca il 24%, in Basilicata, invece, il…3,5%! “Noi siamo seri”, potrebbe dire qualcuno, stupidamente. E qui mi viene in mente una battuta (caustica) di Victor Hugo: “Sono i libri che un uomo legge, quelli che lo accusano maggiormente”. Dalla statistica mancano, è ovvio, i testi scolastici ed universitari. In ordine a questi ultimi, un mese fa ho fatto in aula una specie di “apertio libri”: ho chiesto agli studenti che hanno seguito il mio corso a Scienze della comunicazione (quindi Facoltà di Lettere): “Nel 2008 chi di voi ha letto un libro diverso da un testo universitario?” Sui circa duecento studenti hanno alzato la mano in…cinque! Si è poi levata la voce di una signorina che voleva essere giustificatoria: “Perché la Regione non favorisce la lettura fornendoci dei buoni per l’acquisto-libri?” Così conosciamo ulteriormente i giovani della nostra inquietudine.
19.04.09
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