
Percorriamo viali e vialetti, saliamo scale e attraversiamo cancelletti e nemmeno per un momento ci dimentichiamo che questa è terra di gente di Potenza: dalle foto ti fissano le donne anziane che hanno vissuto col perenne bacio della rassegnazione, ti seguono gli occhi delle mamme dal volto forte e dolce come la seta, ti guardano i contadini che hanno molto bevuto per dimenticare la loro lunga povertà, ti incalza lo sguardo di tanti altri sul cui volto è scritto che la loro vita fu tutta una bugia. Cerchiamo con gli occhi le foto di ragazze che avevano il seno gonfio di miele. Guardiamo i ritratti da cui ci fissano sbigottiti i giovani nati come semi di luce. Il silenzio dei loro amori di un tempo ci penetra a poco a poco dentro le midolla.
Tutti se li ha portati via la Grande Signora, la Morte. Senza guardarli in faccia li ha depositati davanti al cancello principale perché l’accesso al cimitero è a lei negato. Si muore e si uccide da qualche altra parte, fuori dal recinto del cimitero, nel grande e pericoloso mondo. Il suo campo di caccia è la vita. Qui Ella porta soltanto le spoglie mortali, abbandonate già dall’anima. E tutti questi potentini che furono esseri umani si mescolano con la terra e con gli alberi e con i fiori in un tutt’uno di dissolvimento e di odori. Dopo qualche decennio si fonderanno con il suolo e diventeranno definitivamente incontrastata proprietà della Città. Non spariscono nel nulla. Rimangono a Potenza dove stavano. Solo che noi e loro esistiamo in diverse dimensioni temporali. Camminiamo per le loro stesse strade che conservano la memoria dei loro passi. Dietro le facciate restaurate o pitturate a nuovo resistono i contorni delle case un tempo da loro abitate: in pietra viva e malta, umide o sotto il livello stradale o in appartamenti moderni in cui dimenticare di discendere da una povertà antica o in altri vani, ariosi ed orgogliosi, in cui consumare e occultare abusi, tradimenti, prevaricazioni. Ora noi occupiamo le case costruite per loro. Passeggiamo all’ombra degli alberi piantati da loro. Certo, continuano ad esistere per noi. Siamo noi che non esistiamo per loro. Noi conosciamo molte cose sul loro passato. Loro non conoscono più niente sul nostro presente.
Se essi sono tutto questo perché allora noi lasciamo che la polvere si ammucchi sulle lastre di marmo delle loro tombe? Perché ci basta pagare la bolletta della “luce perpetua” per testimoniare la nostra attenzione divenuta sempre più aleatoria? Perché lasciamo trascurati i fiori appassiti nei portafiori rendendo squallido il provvisorio rigurgito di affetto? Perché abbandoniamo accanto ad altre tombe i contenitori di plastica dei detersivi usati per pulire il sito funebre di chi un tempo abbiamo amato? E’ civiltà tutto questo?
Perché il sindaco Santarsiero, ingegnere e grande estimatore del cemento, non ha vigilato sulla qualità dei nuovi manufatti? C’è da rimanere perplessi. Forse ha dimenticato che, volenti o nolenti, noi tutti dovremo trasferirci in altri quartieri, sotterranei. Allora perché non costruirli bene questi quartieri? Perché non mette un freno al mercimonio dei loculi praticato da costruttori e da opere più o meno pie? Perché, visto il dislivello del terreno, a volte anche accidentato, non costruisce degli scivoli per i diversamente abili? Anch’essi hanno i trapassati da onorare. Perché non mette, sparse nel cimitero, panchine dove gli anziani possano sedersi a prendere fiato e forse anche a meditare sul loro tempo ormai prossimo a consumarsi? Perché, oltre agli appartamenti per i vivi, non pensa ad un nuovo quartiere per i morti? Da anni se ne parla. A noi è dato assistere impotenti al balletto indecoroso dei rinvii. Le giustificazioni tecnico-burocratiche si trovano sempre!
Dio mio, quante altre domande fioriscono sulle labbra quando visitiamo il nostro cimitero! Intanto noi sappiamo che il suo cuore batte per una stella politica più lontana, ma anche le cose non fatte possono appannarne la luce!
Tiriamo su dal pozzo del tempo il forte desiderio di vita e ci ritroviamo in via Pretoria tra lo sciamare di giovani e vecchi, di ragazze e donne, fianco a fianco a ridere con gioia o a scambiarsi una chiacchiera o a sussurrare mormorii maldicenti e ammiccanti. E’ un segno di vita della città immersa nel tempo. Eppure bisognerebbe insegnare, come si faceva una volta, che nascita e morte non sono pareti, ma porte. Invece continuiamo a dire stupidamente che la Morte è ingiusta. Ma perché la vita è forse giusta?
1 commento:
Regione diversa, ma il problema e lo stesso,peccato i nostri cimiteri sono così tetri da far rabbrividire dracula,cercano di cambiare la facciata, ma è solo un modo come un'altro di spendere un pò di soldini rubati a poveri ed
indifesi contribuenti.
E'tutto un mangia mangia,per fortuna anche chi mangia molto alla fine farà la stessa strada senza ritorno.
un campano.
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