venerdì 3 ottobre 2008

BASILICATA IN LOCO


28.09.08

Di Licurgo, famoso legislatore di Sparta, non si può dire assolutamente nulla che non sia controverso: non si sa con certezza quando visse, si dice tra il IX e il VII secolo a.C. Tra le altre cose varò anche un’iniziativa singolare: impose a tutti i sissizi, pasti da consumare in comune. I cittadini venivano raggruppati in comunità di 15 persone e obbligati a mangiare insieme il cibo giornaliero, uguale per tutti: brodo, formaggio, fichi e pane d’orzo; qualche volta un po’ di cacciagione. Anche il re e i suoi consiglieri erano riuniti in una comunità ma a tavola avevano porzioni particolari (come al solito!). Attenzione: nessuno mangiava gratis ma ciascuno pagava mensilmente e in parte uguale la propria quota. Chi non poteva, veniva retrocesso al grado sociale di “inferiore” e perdeva i diritti politici. La legge valeva soltanto per gli spartani. Raramente erano ammessi al pasto i motaci, meticci figli di padre locale e madre immigrata. Ciascuna comunità aveva poi anche l’obbligo di fermarsi a discutere con altre comunità sulle cose utili per la città per migliorarne la qualità della vita.
Un sodalizio di Potenza ha tentato di promuovere una tavola rotonda per far discutere intorno ad un sissizi istituito dalla Regione, il pasto delle “Culture in loco”. Ha tentato di mettere insieme una comunità di 15 associazioni Gli invitati sapevano bene che nella cucina del potere la distribuzione del pasto era stata più o meno uguale per tutti e che certamente esso non era stato frugale (la fattura totale è stata di 6.291.848 di euro=12 miliardi e più di vecchie lire). Sapevano anche che non erano state ammesse le motaci, associazioni orfane di padrino politico e figlie di madre libera (di pensiero). Il convivio, pardon la riunione non c’è stata: gli invitati hanno espresso il loro rammarico. Nessuno ha detto il vero motivo. Né si può pretendere che lo dicano: la paura.
La paura di dover accennare alla non sempre limpidezza dei criteri di valutazione adottati dagli uffici del Dipartimento Formazione e Cultura. Si poteva mai dire che i funzionari non tenevano in una mano il bilancino e in un'altra la spada per pesare la qualità professionale ed operativa delle associazioni candidatesi e mozzare quelle dal passato di mediocrità e approssimazione? Perché richiedere a tali funzionari le doti di un san Michele? Noi siamo tutti laici e valutiamo il valore di una associazione dalla sua “devozione” all’altare politico. Associazioni DOC, dunque (Denominazione d’Origine Clientelare)! E questa devozione basta a garanzia. Che altro?
La paura di ipotizzare quale sarà l’avvenire dei 418 ragazzi partecipanti alla formazione.
Però avrebbero potuto dire che intanto è stato dato a tali corsisti un attestato ottimamente inutile, al pari degli abbondanti pezzi di carta rilasciati con timbri anche aulici. Questo è già positivo! Avrebbero potuto affermare con soddisfazione che più di 68 hanno avuto già proposte lavorative. Definitive o temporanee? Ma che domanda è mai questa! E tali proposte di lavoro porteranno all’assuntore qualche beneficio di contributi regionali aggiuntivi? Ma che domanda è mai questa!
La paura di dover dichiarare di non aver capito l’assessore quando, riferendosi ai giovani, ha detto che questa iniziativa serviva “alla crescita della capacità imprenditoriale di specie”. Forse è un lapsus! Lui, avvocato che conosce le sottigliezze del linguaggio, probabilmente voleva dire che “serve alla crescita DELLA specie” di imprenditori capaci di realizzare grandi eventi culturali in perdita di bilancio. Nel dubbio meglio non pensare queste cose.
La paura di dover dire di non essere riusciti a intravedere in questo immenso sissizi pubblico la prelibatezza prospettata dall’assessore Autilio – che è uomo d’onore e fortemente stimato, dico senza ironia - utile a “rafforzare l’identità regionale concreta e reale ma altrettanto innovativa ed energica, saldamente ancorata sulla roccia della storia, sulle tradizioni, su un sistema interconnettivo di saperi e conoscenze.” Eppure al Dipartimento regna l’ottimismo dei risultati – per cortigianeria o per convinzione? la prima sarebbe comprensibile, la seconda preoccupante –. Spero adesso che tirino fuori le tabelle valutative finali come se fossero le Tavole della Legge. Inoppugnabili. Infallibili.
La paura! La sottomissione all’uomo politico ha trasformato il cittadino in dipendente. Gli “appartiene”e e la legge non è più dalla sua parte. Perciò egli è diventato, per necessità, rassegnato, ammiccante, obbediente, impotente, opportunista. Non esprime il suo pensiero temendo di essere punito. Non con sanzioni ma con la retrocessione al grado sociale di “inferiore” e, quindi, con l’esclusione dai futuri benefici regionali. Lo strumento usato è l’emarginazione. Cosicché questo ambiente spinge a pensare, irrimediabilmente, che sia giusta la regola del clientelismo e non superabile la paura delle proprie opinioni. Clientelismo ed emarginazione sono divenuti ormai indipendenti dalla responsabilità libera del cittadino e dominano sempre più fuori da ogni senso morale ed etico.
Quando si consentirà a questa gente di diventare “un immenso popolo di colombe, che, giorno dopo giorno, voli alto, ricco di sete di libertà e fecondo di dignità”? (San Paolo)

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