IL CINEMA IN CLINICA - “Alcuni film erano anche occasione per raggiungere una sorta di estasi e andare lontani da tutto e da tutti. La cosa bella era che nella sua testa aveva messo radice la convinzione che l’ amore per il cinema nasce da quel bisogno di provare piacere presente in ciascuno di noi. Certo, piacere, proprio così. Lo aveva ben descritto coso… come si chiamava? …non ricordava più il nome dello scrittore francese e famoso…ma quella descrizione gli suonava ancora bene: “il cinema è un piccolo stipendiato dei nostri sogni, te lo compri per pochi soldi e per poco tempo, come una prostituta, che, finito l’incontro, ti lascia soddisfatto, almeno per un po’.” Il cinema ha la stessa funzione di una prostituta? Che idea. Però, a pensarci bene, perché no? Se dava piacere, dava piacere punto e basta. Un piacere diverso, ma pur sempre un piacere, più o meno intenso. Se poi il film è racchio, beh, come per una donna racchia, non guardare e cambia film….
Sorrise a tali pensieri. Anche in clinica andava a cinema due volte a settimana, giovedì e domenica, di pomeriggio. Non mancava mai in quella sala con centoventi posti confortevoli. Si rilassava come in un letto pronto a lasciarsi andare… Quell’ Amedeo Nazzari e Yvon Sanson che davano lacrime a secchiate. Quel Totò con licenza di ridere. Quel Maurizio Arena e Marisa Allasio poveri ma belli e divertenti. […] Aveva anche notato che quando l’attrice era procace, incrociava diversi coetanei, malati come lui e vecchi come lui, con dentro i loro occhi la vivezza del ricordo di una esperienza vissuta e col tempo divenuta “esaltante” anche se era stata soltanto desiderata. Ma si sa che perfino da malati piace ricostruire il proprio passato. O forse contraffarlo pur di essere un poco felici.
(dal mio libro "La stanza")
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