ERAVAMO
A RIONERO e lui era ragazzo come noi. Diceva di parlare ogni notte con le
stelle. Un bel giorno se ne uscì affermando di averlo appena fatto da sveglio. Lo
guardammo come si guarda uno scemo. Oddio, in paese già erano in molti a dirlo,
noi però non credevamo che lo fosse. Passavamo
ore ed ore insieme: a scuola, a
spernacchiare, a fantasticare, a monellare. Litigavamo perfino con gli altri
compagni per non farlo chiamare scemo soltanto perché parlava con le stelle. Ma
lui continuava a dire che lo faceva, forse perché gli piaceva sognare e chi
sogna è scemo?
Capitava
a volte di vedere insieme un frammento
di stella segnare un arco d’argento e allora anche noi restavamo incantati. Lo guardavamo soltanto. Lui
no, Armando, balzava sulla punta dei piedi per vedere meglio dove andava a
svanire. Una sera, ed era di agosto, una stella cadente prese la direzione
della fiumara, fuori paese. Allora ci disse di voler andare a pescarla con la
rete. Tutti a ridere e quella volta anche noi gli dicemmo ‘scemo!’ Il mattino seguente
gli chiedemmo se avesse pescato la stella, pronti a deriderlo, ma lui tutto
serio: “Ho gettato la rete alla stella caduta ma la stella l'ha bruciata.
Credevo che fosse d'argento e invece era di fuoco. L'acqua della fiumara non la
spegneva. Si è spenta quando l’ho fissata”, e ci mostrò una piccola rete
bruciacchiata. Restammo basiti: faceva lo scemo inventando tutto o era scemo per davvero? […]
Finimmo
per credere che avesse qualcosa in più di noi. Ad esempio, quando andavamo a caccia di grilli
si fermava lungo i sentieri e con una mezza canna tracciava per terra segni a
forma di spirale e cominciava a parlare di labirinto e di stelle. Aggiungeva
che lassù, in cielo, la vita continua e
la raccontava a modo suo: una vita con fate, angioletti, draghi e uomini degni di perdono. “In cielo non
c’è nemmeno una strada, puoi camminare dove vuoi e puoi incontrare qualche anima
buona, qualche angelo o un diavolo o....forse pure Dio. Può essere, no?” – C’era
da credergli per davvero? Di una cosa eravamo
sicuri, però: man mano che i giorni
passavano lui diventava sempre più magro a vista d’occhio. In paese si
sussurrava che a casa sua non si accendeva più il fuoco. Nessuno però ne accennava
la causa anche se tutti la sapevano. Quanti
di coloro che mormoravano su questo punto erano andati ad assaltare la sua casa
il giorno della caduta del fascismo? Avevano sfondato la porta d’ingresso e
saccheggiato le stanze piene di ogni ben di dio. Soltanto perché il padre di
Armando era stato federale e come tale era stato abbattuto senza che si sapesse
mai da chi..
[…] E venne una sera ed era di agosto, il 10: Armando rimase con gli occhi sbarrati fissi
al cielo e la bocca spalancata a un boccone di pane. Non lo ebbe. Non parlò più
a noi. E noi fummo sommersi dalle lacrime. Lo infilarono nello striminzito vestitino
bianco della prima comunione. Lo chiusero nella bara bianca inchiodata dopo una
colletta. Fu benedetto dal prete con uno schizzo di acqua perché non c’erano
soldi per il funerale.
Lo
accompagnammo al cimitero, abbracciati dal dolore per lui che se n’era andato a
parlare con le stelle, per sempre.
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